Lirica

Giovanni De Santis: "Il teatro deve avere una strategia d'impresa per ottenere risultati"

Giovanni De Santis
Giovanni De Santis © @Antonella Messina

Nel pieno della 71ª stagione lirica dell'Ente Luglio Musicale Trapanese incontriamo il Direttore artistico, che conferma coraggio e visione ampia, tra ammodernamento e tradizione. E i risultati gli danno ragione.

Entriamo nel seicentesco Palazzo De Filippi a Trapani, bellissima sede dell’Ente Luglio Musicale Trapanese, per incontrare il Direttore artistico Giovanni De Santis nel pieno della 71ª stagione lirica ed a pochi giorni dalla conferma di una traiettoria coraggiosa e intraprendente, con il riconoscimento progressivamente crescente da parte del Ministero e l’erogazione del Fondo unico per lo Spettacolo (FUS) 2019.
 

Vedendo questa Carmen viene in mente un trait d’union con altre due recenti produzioni del Luglio come L’Elisir d’amore e La Traviata: l’ammodernamento del linguaggio.
Il teatro è un'attività di impresa, e in quanto tale deve avere una strategia per ottenere risultati. Benché l’Opera sia una forma di spettacolo tra quelle maggiormente fruite a livello mondiale, ha bisogno di un traghettamento verso la nuova generazione, pur rispettando la tradizione e l’approccio filologico. Il linguaggio cambia, la concorrenza oggi sono i nuovi media, e bisogna tenerne conto nel divulgare la cultura musicale (stella polare per le aziende di spettacolo finanziate dal denaro pubblico). Non si deve a tutti i costi “sorprendere”, né certo scandalizzare, ma trovare la giusta metodologia: La traviata di Andrea Cigni (qui la recensione dello spettacolo) ad esempio è ambientata in un club privé, ma probabilmente la ripropone nei termini più corretti secondo il volere originario di Giuseppe Verdi.
Questa Carmen (qui la recensione dello spettacolo) ha rotto gli schemi, ma non in maniera violenta. Non è la Siviglia colorata ma una periferia urbana degradata che lancia un messaggio simbolico sull'Opera: come proiettare la tradizione nel futuro e adottare un linguaggio che possa essere compreso anche da chi si avvicina per la prima volta. E’ arrogante dare per scontato che il livello di ascolto dell'appassionato sia lo stesso di un ragazzo di 14 anni che non ha mai messo piede a teatro.

Se potesse alzare il telefono per chiedere alle Istituzioni di fare una cosa soltanto ma subito, senza intralci legislativi o burocratici, cosa chiederebbe?
C’è un pizzico di sadismo in questa domanda, perché sa bene di farla ad un operatore che si scontra quotidianamente e da anni con questi problemi… siamo dieci anni indietro rispetto alle dinamiche economiche e sociali del paese, la politica deve ritornare alla semplicità, quindi chiederei di valorizzare le cosiddette “buone pratiche”. Ormai tutto è misurabile, e dal ministero alle regioni le griglie parametriche di valutazione sulla qualità incidono sull'erogazione dei contributi; ma chi ha dimostrato di essere bravo deve diventare anche un insegnante ed essere obbligato a mettere  le competenze a disposizione di teatri magari più deboli.
In Italia abbiamo il viziaccio di buttare nell'immondizia tutti i risultati ottenuti. Ragionando sul mercato italiano, mi trovo ad esempio molto in linea con l'etica dell'impresa di Brunello Cucinelli, che poi si richiama ai valori di Adriano Olivetti e Luisa Spagnoli, un modello italiano che primeggiava nel mondo con i suoi metodi gestionali; se sono testati e funzionano, perché non attualizzarli e replicarli?
 

@Antonella Messina


Abbiamo citato il FUS, e dunque diamo i numeri: l’undici luglio è stato pubblicato il nuovo decreto.
Quando ci siamo insediati abbiamo ricevuto il saldo del contributo 2013 pari a 126.666 euro. Oggi siamo arrivati a 472.939 euro. Inoltre ci siamo accreditati presso il Ministero con una qualità e un modello di riferimento che ritengo interessante, mutuando anche esperienze positive come lo Sferisterio di Macerata ed Opera Lombardia, e dimostrando che ci sono esperimenti in Italia che funzionano bene. E allora faccio una provocazione anch'io: le nostre esperienze potrebbero servire per le Fondazioni, perché i teatri di tradizione oggi hanno una velocità e una capacità produttiva che sta diventando imbarazzante, a confronto con le grandi fondazioni che gestiscono decine di milioni di euro e perdono il controllo della gestione.
Un altro problema è che quando si fa un avviso pubblico per un sovrintendente, sembra che conti solo saper dimostrare di avere un curriculum, mentre i mestieri dello spettacolo sono altro. Così come dobbiamo smettere di pensare che i musicisti possano essere sempre automaticamente direttore artistici, anche la legge sulle fondazioni è sbagliata. Nelle realtà di provincia ci sono delle palestre di gestori di direttori artistici formidabili che non hanno curricula chilometrici, ma hanno una formazione completa sul campo e sanno gestire progetti di spettacolo.

L’anno scorso a nostro avviso la gemma musicale più originale fu la sezione dedicata a Mario Castelnuovo Tedesco; quest’anno quale sarà?
Mi viene in mente anzitutto Dido and Aeneas di Henry Purcell (il 10 e 12 agosto per la regia di Isa Traversi, n.d.r.), ma anche l’Orphée aux Enfers di Jacques Offenbach (28 e 30 luglio) firmata da Natale De Carolis è interessante perché divertente e dinamica. Sono figlie di un metodo che coniuga artigianato e industria, prodotti di qualità per un pubblico di 150 persone: una dimensione che va rispettata, lo spazio deve adattarsi alla natura della musica.

Come procede il progetto Medithéâtres? Ci saranno nuove iniziative in Tunisia?
Procede bene; superata ormai l'ultima selezione per il finanziamento, diventerà una realtà triennale che oltre a stare sul campo sarà un sistema, un cluster economico legato alla grande musica sinfonica messa in scena nei teatri di pietra del Mediterraneo, aggiungendo le attività produttive in Tunisia per scenografie e costumi senza perdere però le nostre maestranze. Quest'anno a Cartagine era prevista la Traviata, che sarà rinviata a causa delle incertezze politiche legate al periodo elettorale; tuttavia saremo egualmente in scena, con un Gala dell'Opera.

Solo un anno fa lei definiva l’operazione in Tunisia “una pazzia”. Ne ha qualcun’altra in mente, visto che dati i risultati magari porta bene?
Ricordo quando al Ministero mi trattavano come un pazzo o un sognatore… oggi ci hanno dato invece un contributo supplementare per la tournée e si stanno dimostrando molto, molto attenti. Ora vorrei che lo stesso accadesse con la Regione Sicilia. La scommessa l'ho già proposta e riguarda la nostra storia e la posizione al centro del Mediterraneo. Il sistema lirico-sinfonico italiano avrà questo senso se partirà dal Maghreb, salendo dalla Grecia, da Malta… un universo artistico con la Sicilia che si trova già al centro del progetto, anche geograficamente. Mettiamoci a capo di questo movimento quindi, e creiamo la rete lirico-sinfonica del Mediterraneo, con un’immagine coordinata, stagioni e teatri uniti anche per creare economie di esercizio e delocalizzare le produzioni senza perdere posti di lavoro, portando gli spettacoli nei teatri di pietra per lanciarli poi in Europa… Ho fatto una proiezione e anche dal punto di vista finanziario è indiscutibilmente vantaggioso.

Questo potrebbe anche collegarsi ad una mia antica idea, quella di rappresentare gli spettacoli proprio nei luoghi in cui sono stati ambientati e scritti. Qui sarebbe perfetto, no?
Certamente. Ad esempio, qui vicino alle pendici del monte Erice c’è Pizzolungo, dove sarebbe approdato Enea per i funerali del padre Anchise, e lì avrei voluto già mettere in scena Dido and Aeneas, con lo scenario della montagna dei Ciclopi: immaginate che suggestione e che capacità di attrazione turistica sarebbe! Qualcosa che avrebbe fatto mangiare molte persone, per replicare in maniera garbata a qualcuno che è stato sgarbato col mondo della Cultura.
Abbiamo tutto contestualizzato, in Sicilia. Magari non saremo sempre efficienti… però siamo siamo nel posto giusto.